Dazi Trump e il ritiro degli Stati Uniti dall’africa: un’arroganza che costa cara
Le politiche protezionistiche di Trump, con dazi e chiusura di sedi USAID in Africa, hanno danneggiato le economie locali e allontanato il continente dagli Stati Uniti, favorendo invece Cina e Russia. Questa strategia “America First” ha compromesso la cooperazione e l’influenza globale degli USA. Si auspica un cambio di rotta per le future amministrazioni.
Redazione AfriCast
4/7/20252 min read


Negli ultimi anni, le relazioni tra gli Stati Uniti e il continente africano hanno subito una svolta significativa, caratterizzata da un ritorno a politiche economiche protezionistiche e punitive. L’imposizione di dazi su prodotti provenienti da diversi stati africani, fortemente voluta dal Presidente Donald Trump, ha interrotto decenni di sforzi di cooperazione economica, colpendo duramente il tessuto produttivo africano. A aggravare la situazione, il ridimensionamento o la chiusura di numerose sedi di USAID – l’agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti – ha rappresentato un segnale inequivocabile: l’Africa non è più una priorità per Washington.
La scelta di Trump: dazi e isolamento
Durante l’inizio di questa sua seconda amministrazione, Donald Trump sta promuovendo una visione economica fortemente unilaterale, improntata sull’“America First”, che sta portando al ritiro dagli accordi multilaterali, al disprezzo per le istituzioni internazionali e all’imposizione sistematica di barriere commerciali. L’Africa è stata una delle principali vittime silenziose di questa strategia.
Trump ha revocato i benefici dell’AGOA (African Growth and Opportunity Act) a vari paesi, giustificandolo con motivazioni politiche, spesso legate ai diritti umani o all’instabilità. Tuttavia, questa mossa ha colpito duramente piccole economie emergenti che dipendevano da quegli scambi per la propria sopravvivenza. Mentre la Cina stringeva accordi infrastrutturali e commerciali con oltre 40 stati africani, gli Stati Uniti erigevano barriere.
Chiusura di USAID: l’altra faccia dell’abbandono
La chiusura delle missioni USAID in diversi paesi africani ha avuto un impatto negativo sullo sviluppo locale. Per decenni, USAID ha rappresentato uno strumento fondamentale di cooperazione tecnica, sanitaria e agricola tra gli Stati Uniti e il continente africano. La chiusura degli uffici e la riduzione del personale hanno compromesso progetti cruciali legati alla sicurezza alimentare, alla salute pubblica e all’educazione.
Questa decisione può essere interpretata come una scelta che limita gli aiuti, la cooperazione e l’ascolto. L’Africa sembra essere stata considerata un campo di scontro geopolitico, piuttosto che un partner di sviluppo.
Le conseguenze di questa situazione sono evidenti: instabilità, sfiducia e nuove alleanze.
La distruzione del tessuto produttivo locale: le aziende africane che avevano investito nella produzione per l’export verso gli Stati Uniti si sono trovate escluse senza preavviso né alternative. Questo ha portato a chiusure, licenziamenti e impoverimento.
L'allontanamento strategico dagli Stati Uniti: invece di avvicinare l’Africa agli ideali democratici occidentali, queste politiche l’hanno spinta verso altri attori internazionali, spesso meno trasparenti ma più affidabili. La Russia e soprattutto la Cina sono diventate partner privilegiati.
La perdita d’influenza globale degli Stati Uniti: il vuoto lasciato dagli Stati Uniti è stato colmato da potenze emergenti. In un’epoca in cui la cooperazione internazionale è fondamentale, gli Stati Uniti si sono ritrovati a dialogare con un continente che non li ascolta più.
La politica dei dazi e del disimpegno voluta da Trump ha rappresentato un errore strategico. Ha minato la fiducia, distrutto opportunità economiche e indebolito la presenza americana in una delle aree con maggiore potenziale di crescita del XXI secolo. Più che “America First”, si è trattato di “Africa Last”.
Si auspica che le future amministrazioni comprendano il danno provocato da questa chiusura e che tornino a considerare il continente africano non come una minaccia, ma come un’opportunità concreta di cooperazione, crescita reciproca e costruzione di un mondo più equilibrato.